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Senza valutazione, un’autonomia a sovranità limitata

Pubblicato il: 26/05/2009 18:42:01 -


L’autonomia delle scuole si completa solo con un sistema di valutazione composito e compiuto. La Fondazione Agnelli propone di definirne un tassello a partire dal giudizio di enti terzi quali università e mercato del lavoro.
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A dieci anni dal suo varo, tanta strada ci separa ancora da un’autonomia scolastica propriamente intesa. Ma qual è il nodo da sciogliere? Forse quello di uno Stato “accentratore/gestore” che fatica a trasformarsi in “regolatore/arbitro”? Oppure è legittimo chiedersi se si possa concedere maggiore autonomia decisionale alle scuole senza istituire un sistema di accountability che chiami a rispondere dei risultati ottenuti a fronte delle scelte fatte?

In un sistema d’istruzione pubblico improntato a una maggiore autonomia delle scuole, la valutazione è un indispensabile strumento di governo. Necessaria a bilanciare i più ampi margini di libertà degli istituti, la valutazione consente di riequilibrare il sistema, verificando l’esistenza di punti di forza e di debolezza. In più, la valutazione consente la raccolta e la diffusione di informazioni obiettive e comparabili sui risultati ottenuti dai singoli studenti (e in media dalle scuole di appartenenza) con beneficio di famiglie, insegnanti, scuole, organismi istituzionali, mercato del lavoro.

Per rispondere a queste esigenze diffuse e differenziate occorre predisporre un sistema di valutazione composito e compiuto che combini esperienze che oggi viaggiano in modo autonomo e slegato:
• l’autovalutazione delle scuole, pratica già diffusa nelle scuole dell’autonomia da rendere più efficace e solida valorizzando l’esperienza delle reti di scuole e uscendo dall’ottica del fai-da-te;
• le visite ispettive, da riattivare non per verificare gli adempimenti burocratici, ma la qualità del servizio scolastico nel suo complesso e la sua rispondenza agli obiettivi di sistema (livelli essenziali delle prestazioni), sul modello dell’OFSTED inglese;
• i test standardizzati sugli apprendimenti, già predisposti e gestiti in modo centralizzato dall’INVALSI che andrebbe dotato di adeguate risorse finanziarie e messo in condizione di operare nelle scuole di ogni ordine su base censuaria (tutti gli studenti) per fornire le imprescindibili indicazioni sul valore aggiunto prodotto a livello di singolo istituto;
• il giudizio di enti terzi, rilevabile sulla base delle informazioni raccolte negli archivi amministrativi, come ha dimostrato la Fondazione Agnelli con un esercizio di valutazione indiretta delle scuole superiori piemontesi a partire dai risultati conseguiti dai diplomati all’università.

Quest’ultimo punto d’osservazione, generalmente trascurato, può rivelare a posteriori l’esito dell’investimento in istruzione e la qualità delle competenze costruite negli anni della scuola. Basandosi sui microdati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti, la Fondazione Agnelli ha analizzato le performance di oltre 28.000 studenti diplomati in Piemonte iscritti ai tre atenei regionali (Università di Torino, Politecnico di Torino, Università del Piemonte Orientale) negli aa. aa. 2005/06 e 2006/07 sulla base di due indicatori: profitto universitario (media dei voti conseguiti ponderata per i crediti formativi di ogni esame) e velocità negli studi (rapporto fra i crediti conseguiti e quelli dichiarati come impegno annuale). Alcune caratteristiche individuali e di contesto in grado di influenzare le performance, ma che la scuola prende come date e a partire dalle quali deve costruire le basi per il successivo successo accademico, sono state tenute sotto controllo statistico (il genere, l’ateneo e il settore disciplinare frequentato, il territorio di provenienza e, per quanto possibile, l’estrazione socio-culturale ed economica degli studenti). I risultati hanno evidenziato: l’ottima performance delle scuole della provincia rispetto a quelle cittadine (maggiore dotazione di capitale sociale? autoselezione dei “fuori sede”?); la buona performance degli istituti tecnici che si manifesta solo quando si tiene conto del “materiale umano” sul quale le scuole sono chiamate a costruire; la deludente performance degli istituti non statali che avvalora l’ipotesi di un segmento privato dell’offerta formativa essenzialmente volto al recupero di chi resta indietro.

La letteratura esistente dimostra che la diffusione di risultati in forma di graduatorie suscita reazioni contrastanti. L’esercizio proposto non ha fatto eccezione. Sebbene nessuno abbia messo in discussione l’opportunità di un primo passo verso la valutazione delle scuole, il reale contenuto informativo delle graduatorie e la loro effettiva capacità di orientare le scelte delle famiglie continua ad alimentare dubbi. Tuttavia, in un Paese in cui l’orientamento degli studenti è demandato solo in pochi casi all’azione meritoria di alcuni insegnanti e più spesso alla raccolta privata di informazioni presso parenti, amici e conoscenti, a consolidate tradizioni familiari, diffondere nuovi elementi di riflessione basati sulla ricerca empirica appare necessario. Con un piccolo investimento, l’esercizio potrebbe essere esteso a livello nazionale. E analoghi esercizi centrati sugli esiti occupazionali potrebbero predisporsi sulla base delle informazioni custodite negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate.

Insomma, valutare si può fare e si deve fare. Solo così si può evitare che la parte del dettato costituzionale sull’autonomia delle scuole resti lettera morta.

Gianfranco De Simone

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